Lo sport come salute psicofisica.
di Luciana Zambelli

Lo sport ha sempre rappresentato per tutte le generazioni una valvola di sfogo ma nel contempo  una base solida per un percorso disciplinare che portasse i giovani alla comprensione delle regole, al rispetto del prossimo e all’accettazione – positiva e reattiva – della sconfitta. Lo sport è competizione ma non sarà mai sempre vittoria al 100%.
Anche il sistema immunitario trae vantaggio dai movimenti muscolari e dall’ossigenazione del sangue, dovuta al miglioramento metabolico, per non parlare della sfera neurologica, sempre in azione per elaborare strategie di attacco e difesa. Un meccanismo che ricollega la nostra  parte di esseri primitivi  di elaborare piani di conquista e sopravvivenza.

Ma lo sport fa sempre bene?
A quanto pare esistono delle patologie, vere e proprie ossessioni, che portano l’atleta alla dipendenza delle discipline sportive legate all’esaltazione delle proprie capacità muscolari e mentali.
Ecco alcune categorie di persone fanno sport in modo completamente fuorviante.

Il sano nevrotico ovvero colui il quale si sente uno sportivo di successo, “potente”. Collega la pratica ad un percorso verso una vetta  da raggiungere e sposta sempre la meta qualche metro più in là, non accetta le sconfitte, deve vincere a tutti i costi, anche con mezzi a volte discutibili.

Lo sportivo compulsivo si deve creare una routine per riempire dei “vuoti” che altrimenti troverebbe non appena rientra nella sfera familiare. Fa esercizio per non pensare, per non affrontare altre problematiche. Si sente realizzato e appagato non dai risultati ma dal continuo allenamento.

La dipendenza da sport non va confusa col nevrotismo. Il “dipendente” si sottopone ad un continuo allenamento a causa di disturbi alimentari o per presunti – reali o meno – inestetismi e cercano di “condurre” il loro corpo verso una iconica scultura muscolare, per arrivare al peso perfetto, alla forma  che si prefissano come meta da raggiungere. Sono solitamente persone con bassa autostima e si sentono vittime di giudizi altrui anche senza motivo. Si sentono spesso in colpa se mangiano un alimento ricco di zuccheri e se bevono un alcoolico in compagnia. Tendono a fare diete ferree ma non hanno la costanza di essere sempre coerenti.

Tra questi profili di persone che praticano sport in modo errato, ve ne sono alcuni che rischiano di cadere nella patologia psichiatrica e andrebbero anzitutto istruiti che vivere lo sport non è sempre un traguardo da raggiungere con un pugnale tra i denti e nemmeno una competizione dove gli avversari  vanno eliminati in tutte le maniere, corrette o meno.

Purtroppo l’ambiente sociale attuale e i modelli proposti dai media,  propongono sempre campioni di successo, realizzati nello sport e nella vita, che solo grazie al duro allenamento ce l’hanno fatta.
In parte è così, ma non è la verità assoluta. Ci sono sportivi che riescono ad allenarsi nella quantità necessaria per sentirsi in forma, appagati nel loro raggiunto benessere psico-fisico. Rispettano una dieta sana e hanno una routine familiare, semplice.
Lo sport serve per dare un equilibrio e una disciplina, mai per cadere in situazioni ossessive.

Ecco quindi un nuovo scenario per allenatori, tecnici e dirigenti che si occupano di sport giovanile: da educatori propongano ai giovani lo sport sempre come un approccio alla salute e al gioco di squadra, che sia un divertimento sano e mai ossessivo.

L’opposto delle categorie di cui sopra sono i sedentari, con autostima minima sul loro essere estetico: mangiano e bevono senza riguardo per il proprio fisico che lentamente ma inesorabilmente decade: primo indizio la pancetta, chiamata così con un vezzeggiativo di difesa ma in realtà è una pancia vera e propria. Per evitare “prove” più concrete, è sufficiente fare un po’ di movimento, almeno dieci minuti al giorno, a piedi, in bicicletta oppure in palestra.

 

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