Basket in carrozzina
Olympic Basket Verona
di Pietro Perbelini
PH: foto Olympic Basket Verona
L’Olympic Basket Verona è l’unica squadra di pallacanestro in carrozzina della provincia di Verona. Nata nel 2009, svolge attività dai 18 anni in su, includendo nel proprio organico persone con disabilità fisiche di qualsiasi genere (spina bifida, tetraparesi, emiplegia, tetraplegia). Attualmente la società milita nel torneo nazionale di serie B e partecipa pure al campionato italiano UISP.
Abbiamo intervistato il delegato regionale della FIPIC (Federazione Italiana Pallacanestro in Carrozzina), nonché segretario della squadra, Saverio Pellegrino, per conoscere questa realtà veronese e comprendere le difficoltà con cui deve costantemente fare i conti: «Noi ci alleniamo con la serie B a Quinto di Valpantena, con l’UISP invece presso la facoltà di Scienze Motorie. L’organico è composto da 16-18 giocatori e 7-8 persone tra dirigenti, allenatori, preparatori. Per diverso tempo abbiamo avuto un gruppo di giovani tra gli 8 e i 18 anni, ma la pandemia del 2020 ha purtroppo azzerato questo movimento che con difficoltà e tenacia vogliamo ricostruire.»

I giocatori dell’Olympic Basket Verona al completo
Saverio ci spiega che il 2012 è stato l’anno di svolta: le Paralimpiadi di Londra hanno avuto grande eco in TV e, da allora, molto è cambiato. Dal 2015, infatti, il Comitato Italiano Paraolimpico non è più un ente a sé stante, ma è stato riconosciuto come ente di diritto pubblico. Ciò significa che opera in collaborazione con lo Stato italiano per la promozione dello sport paraolimpico, con l’obiettivo di dare maggior impulso, sul territorio nazionale, alla promozione e all’avviamento alla pratica sportiva delle persone con disabilità. Nonostante tutto, le difficoltà incontrate sono molteplici.
«Innanzitutto, abbiamo bisogno di poterci allenare in strutture accessibili, prive di barriere.» In ogni paese ci sono palazzetti dello sport, spesso però l’accesso presenta ostacoli per i disabili e sovente manca un magazzino dove poter custodire in sicurezza le carrozzine impiegate nella vita di tutti i giorni.
Poi c’è il problema legato ai costi: «Il nostro settore riceve sì un contributo dalla regione; tuttavia, le spese che dobbiamo sostenere rimangono elevate. Basti pensare alle trasferte; per non parlare delle carrozzine sportive. Queste sono ausili creati su misura per ciascun atleta. Nel nostro caso, cerchiamo di venire incontro ai nostri giocatori reperendo, tramite sponsor o associazioni, i fondi necessari per fornire loro le carrozzine “speciali”. In definitiva, la maggior parte dei nostri finanziamenti proviene da privati.»
Infine, un ultimo problema relativo al reclutamento dei giocatori, in particolare dei giovani. Saverio rivela che spesso c’è molta reticenza da parte dei genitori nel far avvicinare i figli disabili a questa attività. Questo perché il genitore, temendo per l’incolumità del proprio ragazzo, preferisce mantenerlo all’interno di una bolla protettiva, procurandogli tutti i comfort di cui ha bisogno. Da questo punto di vista videogiochi e cellulare sono strumenti perfetti per offrire comodità a portata di mano. Questo atteggiamento, però, non stimola l’individuo ad uno stile di vita attivo e lo spinge indirettamente a deresponsabilizzarsi.
«I genitori devono capire che non sono eterni e, proprio per questo, dovrebbero spronare i figli a fare qualcosa, specialmente se disabili, cercando un confronto con altre persone. In questo senso l’attività sportiva è un grande aiuto per uscire dall’isolamento e favorire l’inclusione.»

Una fase di gioco nel corso di una partita di campionato
Non va dimenticato che, per divulgare e promuovere il proprio progetto sportivo, l’Olympic Basket Verona è presente sui social e svolge costantemente attività nelle scuole. Ciò permette di far conoscere il mondo paraolimpico attraverso racconti, testimonianze dirette e dimostrazioni pratiche. «Chi fa parte della nostra squadra non viene solo per imparare a giocare a basket, ma anche per trascorrere e condividere il proprio tempo assieme a persone che hanno interessi comuni. Il basket diviene così un mezzo riabilitativo ma soprattutto sociale.»
In conclusione, cosa ti sentiresti di dire al genitore di un ragazzo disabile per avvicinarlo a questo sport? «Il basket in carrozzina è un gioco dinamico, spettacolare e sicuro, che responsabilizza i giovani e li sprona ad una vita attiva. E così, quando il ragazzo tornerà a casa dall’allenamento e avrà sete, invece di chiedere al genitore che gli venga portato un bicchiere d’acqua, è probabile che sia lui stesso ad andare a prenderselo.»

Pietro Perbellini, è nato a Verona il 28/8/1984. Residente a San Giovanni Lupatoto. pietroperbellini@alice.it
Come atleta è stato specialista di decathlon e lancio del giavellotto. Scrive principalmente cronache e interviste sull’atletica leggera.
Ha scelto Giovanisport per conseguire l’Iscrizione all’Ordine dei Giornalisti.
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